Evidenza da accettare con allegrezza scomposta o rassegnazione idrofoba, vedete un po’ voi:
se il Bracco Italiano è quello che è lo dobbiamo alla caccia, o meglio, alla selezione operata a scopo venatorio, da coloro che durante gli ultimi due secoli ne sono stati i principali (per non dire esclusivi) custodi ed utilizzatori: i cacciatori.
In veste di appassionati, allevatori ed esperti giudici, queste persone, insieme, fecero l’impresa di plasmare un ausiliare caratterizzato da particolari requisiti morfologici, funzionali, qualitativi e psichici che lo rendessero non solo performante, ma anche redditizio e pertinente con la propria identità di razza – in una parola, tipico.
Qualcosa di cui forse siamo meno consapevoli è che il loro lavoro ha dato al bracco la forma e la sostanza che conosciamo e che lo rendono unico nel suo genere, anche riguardo certi aspetti che, così su due piedi, diremmo che con la caccia non c’entrano un bel niente e che, senza una consapevole opera di tutela, rischiamo di compromettere.
Tipo quali?
La Salute

Poichè un cane da caccia è prima di tutto un atleta al servizio di un istinto che lo porta a svolgere un esercizio impegnativo sul piano mentale ma soprattutto fisico, i soggetti meno resistenti, cagionevoli, indeboliti da patologie o difetti strutturali, difficilmente trovavano spazio in una filiera selettiva che, senza se e senza ma, mirava a tirar fuori esponenti di razza sani e robusti.
Procedendo in questo senso si è contenuto il diffondersi e il consolidarsi di problematiche congenite che, in modo più o meno grave, interessano altre razze la cui selezione punta a compiacere gli egotismi dettati dall’ammmòre ignorante o le esigenze di mercato, perdendo di vista essenza e funzione del cane.
Per questo motivo la pratica venatoria rappresenta ancora oggi il banco di prova ideale per verificare (anche) lo stato di salute dei soggetti chiamati a portare avanti il Bracco Italiano, mantenendo la rotta stabilita da chi ci ha preceduti.
Non dobbiamo dimenticare infatti che, malgrado possa vantare origini antiche, il bracco moderno è frutto di una riselezione recentissima, intrapresa sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale da grandi cinofili dell’epoca i quali – proprio perchè cacciatori prima che selezionatori – seppero rigenerare una razza praticamente estinta e che, a 70 anni di distanza, anche in termini di benessere non ha niente da invidiare alle sue omologhe.
La Morfologia
E’ più utile un martello o un cacciavite?
Dipende cosa ci devi fare.
D’altronde la forma di ogni strumento corrisponde, meglio di qualunque altra, al preciso scopo per il quale questo è stato concepito e le razze canine non fanno eccezione
Nella fattispecie, la morfologia di un Bracco Italiano è il risultato di una selezione in funzione della disciplina venatoria, del mantenimento di un determinato stile di razza, coerente con e derivante da specifici attributi di tipicità, che ne definiscono bellezza, velocità e qualità di movimento.

Senza trasformare questo paragrafo in un trattato di cinognostica, prendiamo per esempio:
– la struttura muscolo-scheletrica che, in sinergia con l’inclinazione della groppa e il torace a botte, agevolano la caratteristica andatura al trotto;
– l‘orecchio, che in atteggiamento di attenzione dà al bracco la parvenza di una sfinge e che, per quanto possa ricordarlo, non deve essere uguale a quello del segugio;
– la canna nasale, deputata al compito olfattivo ma che deve necessariamente risultare divergente rispetto all’asse del cranio, oltre che leggermente montonina – peculiarità che il bracco condivide con pochissime altre razze.
Sfumature se volete, ma che fanno (o non fanno) il Bracco Italiano e sulle quali è imperativo non sorvolare per preservare i connotati di una razza che lontana dal suo impiego diventa estranea anche ai propri Standard e viceversa.
Se il diavolo sta nei dettagli, il Bracco Italiano pure.

Il Carattere
Non è un caso neanche che tra i più importanti caratteri fenotipici, indicatori del tipo, ci siano gli occhi del Bracco Italiano, il cui sguardo deve fare da specchio alla bonarietà e alla mansuetudine che contraddistinguono la razza, anche rispetto alle sue omologhe.

Come i tratti somatici, così pure la docilità, la dolcezza, l’indole riflessiva, la bassissima aggressività intraspecifica, la scarsa territorialità, lo spirito di adattamento e il grande attaccamento al padrone derivano da un allevamento finalizzato a forgiare un ausiliare duttile, collaborativo e collegato al proprio conduttore, e che forse per questo si rivela anche più incline ad osservarne e comprenderne la gestualità e le intenzioni.
La ricerca continua della nostra presenza e vicinanza, la buona disposizione nei confronti di persone e cospecifici così come la richiesta di attenzioni (e cibo), che rendono il bracco un amorevole membro della famiglia, hanno quindi origine dalla stessa matrice che fa di lui un cacciatore avido, intraprendente, curioso, infaticabile, rustico, indipendente e coraggioso.
Due facce della stessa medaglia che non possono prescindere l’una dall’altra.
L’Intelligenza
Meglio un cane molto intelligente e di medio olfatto, che un cane con un grande naso ma privo di intelligenza.
E’ il segreto di Pulcinella, ma vale la pena evidenziarlo, dato che l’intelligenza è senza dubbio la qualità più importante da riscontrare in un ausiliare, del quale denota la capacità predatoria, ed è quindi determinante ai fini selettivi.
Dentro al contesto venatorio intelligenza è sinonimo di furbizia, memoria, capacità interpretativa e di apprendimento, equilibrio e fantasia, valori aggiunti fondamentali per la buona riuscita di un’azione di caccia rispetto alla quale le doti olfattive non sono che una debita premessa.

In quest’ottica, un Bracco Italiano degno di nota non è semplicemente quello con un buon naso, ma quello che dimostra di sapere come e quando usarlo, che sa leggere il territorio e, in nome di un buon senso del selvatico, mettersi sul terreno per insidiare la selvaggina senza sprecare energie preziose.
E’ quello che sa dominare un’emanazione, riconoscere la preda e adeguare le proprie mosse di conseguenza rivelando malizia, buona memoria e la capacità di fare tesoro di esperienze pregresse.
Ed è ovviamente anche quello che mostra spirito di adattamento, reattività ed una buona addestrabilità perchè attento, specialmente nei confronti del proprio conduttore, a riprova del fatto che il collegamento sta nella testa del cane, non nel fischietto del padrone.
Va da sè che tali abilità, osservate e selezionate sul campo, non possono che essere l’anticamera di una mente vivace e brillante, quella che ci si aspetta da un cane famoso per essere un ragionatore e che al di là dei terreni di caccia, fa del Bracco Italiano un compagno di vita sensibile, divertente e assolutamente multitasking.
Il Genotipo
Geneticamente un lupo è a malapena distinguibile da un bulldog, ma all’interno di quell’area grigia…c’è l’arte!
Che è un modo poetico per definire morfologia, comportamento, attitudini ma anche specifici adattamenti fisiologici e neurologici (illustrati in studi tipo questo), meno evidenti ma decisamente fondanti per la creazione di una razza, e che nel caso del Bracco Italiano sono derivanti dalla pressione selettiva finalizzata all’assemblamento di un cane sportivo, con una particolare inclinazione predatoria, la predisposizione alla ferma, al riporto e compagnia cantante.

Ciascuno di questi segni particolari – tipo la lunghezza delle orecchie, il color tonaca di frate, il portamento di testa o la paraculaggine – non riemerge in (quasi) ogni esponente di razza per puro caso, bensì dipende ed è influenzato da set di geni razza-specifici circoscritti e trasmessi, più o meno fedelmente, di generazione in generazione, grazie alla continuità di un allevamento mirato a mantenere il Bracco Italiano aderente all’ambito venatorio e al suo ideale morfologico e funzionale.
Questo per dire che se smettessimo di prestare attenzione a ciò che fenotipicamente ma soprattutto genotipicamente mantiene un Bracco Italiano diverso da un Carlino o da un Saluki ma anche da un Kurzhaar, rischieremmo di disperdere, diluire o mescolare quegli specifici pool genici che ci interessa tramandare con altri dagli effetti potenzialmente indesiderati – dai più “innocui” difetti di colorazione del mantello agli squilibri comportamentali, dall’inettitudine venatoria all’insorgenza di nuove patologie – e che comunque nel giro di pochissime generazioni ci consegnerebbero un cane profondamente diverso da quello che amiamo.

Se sono riuscita a spiegarmi come volevo, arrivati a questo punto avrete compreso quanto a fondo la caccia risieda e si ripercuota in ogni cellula del Bracco Italiano, creando un’eco profonda in ogni esemplare adibito o meno alla pratica venatoria.
Se sono riuscita a portarvi dove volevo però, avrete soprattutto compreso la grande responsabilità che investe ognuno di noi appassionati che, in qualità di acquirenti, divulgatori o allevatori (anche occasionali), oggi forse più che in passato, siamo chiamati a fare la differenza nel determinare il presente e salvaguardare l’avvenire della razza, vivendo i nostri cani alla luce di questa consapevolezza e privilegiando soggetti figli di una selezione ponderata, seria e che non prescinda mai dalla sfera venatoria. Nell’interesse esclusivo dei Bracchi Italiani e nel rispetto dei braccofili che ci hanno preceduti come di quelli che verranno.
L’articolo è per me bello ed interessante, in quanto esprime, in modo motivato,una nozione importante per la selezione non solo del Bracco italiano ma anche di tutti i cani da caccia. Un concetto che ben conosciamo ma spesso esponiamo troppo frettolosamente.
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