di Andrea Vaccari
Sin dal primo incontro con il Bracco Italiano, il mio cuore è appartenuto ai soggetti roani, preferibilmente tonaca di frate.
Per quanto mi riguarda, questa colorazione è più unica e inconfondibile di quella bianco arancio, caratterizzata da un pelo che sembra un panno di caldo velluto con riflessi abbacinanti che nessun’altra razza può vantare. Ritengo non ci sia niente di più bello ed evocativo, ed ogni volta che vedo un soggetto roano, la mia mente corre subito ai bracchi Ranza, ai piacentini e ai loro discendenti, protagonisti dei sogni più avventurosi di cacciatori come me.
Va detto però che il tipo roano è anche quello più difficile da maneggiare, poiché qualsiasi imperfezione salta all’occhio da kilometri di distanza, riducendo così al minimo il margine d’errore rispetto ai bianco arancio, sui quali è necessario soffermarsi con più attenzione e maggior competenza per riscontrare i difetti.
Inoltre da un punto di vista pratico – o meglio, visivo – una volta addentratici nei boschi, il nostro bracco marrone non è facile da individuare, dato che in ferma in mezzo ai rovi oppure dietro a qualsiasi arbusto più alto di 70 cm il mantello lo mimetizza fino a renderlo praticamente invisibile: puoi girare quarti d’ora senza vederlo mentre lui è lì, immobile, a pochi metri da te probabilmente intento a ricoprirti di insulti, cercando di capire perché non vai a servirlo invece di chiamarlo rumorosamente tra un impropero e l’altro.

Se a questo si aggiunge che porto gli occhiali dalla nascita e che quindi non mi si può proprio definire un occhio di falco, capite perché sono da sempre alla ricerca di strumenti ed ausili ad alta visibilità che mi semplifichino la vita. E oggi, dopo 20 anni di caccia, posso finalmente iniziare a tirare qualche conclusione.
In principio furono i collari fluorescenti, che più che altro erano delle fasce di stoffa in cui si infilava il collare vero e proprio e che duravano pochissimo, diventando subito opache e poi sfilacciandosi in mille pezzi dopo una stagione massimo due.
Successivamente, le ditte più visionarie iniziarono a mettere in produzione i primissimi collari ad alta visibilità: dei plasticoni flessibili disponibili in giallo e arancione, dapprima non troppo resistenti con la tendenza a seccarsi e sbriciolarsi con niente, poi effettivamente a prova di bomba.
Solo che per quanto il prodotto possa eccellere, una striscia arancione di 30 cm su 30 kg di bracco marrone in un bosco autunnale non fa miracoli.


Poi l’anno scorso, ritrovandomi chiuso in una stanza (a doppia mandata, dall’esterno ndr) per 20 giorni in compagnia del Covid, ho avuto modo di farmi una cultura sull’argomento e, in vista dell’allora imminente viaggio in terra scandinava, ho ordinato le famose mantelline ad alta visibilità della Augusto Abbigliamento 3A che sono state la svolta e sulle quali, dopo un’intensa stagione di caccia, mi fa piacere spendere due parole.

La mia più grande perplessità riguardava la taglia, che il sito dice essere unica e regolabile per tutti i cani…ma onestamente sulle mie bracche, che pure sono compatte e contenute nella stazza, la mantellina è risultata molto aderente, forse fin troppo. Se posso permettermi, qualche centimetro in più in corrispondenza della cinghia di chiusura localizzata sottopancia farebbe la differenza, garantendo maggiore adattabilità e comfort al cane che la indossa.
Lo stesso vale per il foro in cui si infila la testa del cane che, non essendo elastico né allargabile, in razze dalla conformazione abbondante rischia di stare accollato quando basterebbe davvero poco per renderlo fruibile e comodo per ausiliari di tutti i tipi.


Ma a parte questo la funzionalità è ottima e lo scopo per cui sono state pensate è centrato in pieno.
Il cane si vede bene, lo si nota subito e anche nel fitto più fitto l’occhio viene immediatamente catturato dal giallo o dall’arancione fluo, che non perdono vividità neanche sotto l’acqua battente o sotto strati di polvere e fango.
Lo stesso vale sulle grandi distanze: lasciando cacciare le mie ragazze anche a centinaia di metri da me, l’effetto ottico è sempre il medesimo e rimanere collegati visivamente al proprio cane che lavora trasmette un senso di tranquillità e sicurezza impagabili.
Soprattutto, grazie a questo indumento, il campo visivo in cui il cane può lavorare senza perdere contatto si amplia notevolmente, oserei dire che si raddoppia. E sia nella foresta che nelle grandi pianure ma anche da un calanco all’altro, questo rappresenta un grandissimo punto a favore, poiché ci risparmia fiato, fischi e continue sbirciatine al GPS.



Un aspetto sul quale invece sono rimasto un po’ deluso è la resistenza.
Visto il prezzo d’acquisto (50 euro) e visto il tipo di caccia che pratico – nel fitto ma non come se avessi uno springer oppure un drathaar – non mi aspettavo che già dopo pochi mesi comparissero scuciture e strappi, né che alla fine della stagione una delle due mantelline fosse praticamente distrutta. Su questo credo ci siano abbondanti margini di miglioramento e spero che la ditta si impegni su questo fronte, rendendo così il suo prodotto imbattibile.

Le consiglio? Senz’altro!
Queste mantelline per me rappresentano un must have e un mai più senza, perché ci agevolano in ogni circostanza venatoria consentendoci di avere il cane sotto controllo in ogni situazione, ma soprattutto ci mettono in sicurezza.
Ricordo una giornata di caccia di tantissimi anni fa in compagnia di Rosco, il mio primo Bracco Italiano dal mantello quasi completamente roano che, perlustrando una costa boscosa venne scambiato per un verro da una squadra di cinghialai. Nel giro di pochi minuti ci ritrovammo quindi circondati dai cacciatori che credevano di aver visto “il cinghiale in piedi” e anche se per fortuna riuscimmo ad evitare il peggio, l’equivoco servì a chiarire il concetto: l’essenziale è visibile agli occhi!