Il giorno del terzo compleanno delle 10 piccole Idrovore, dopo la telefonata in cui mia madre mi diceva di vergognarmi per non aver neanche scritto niente sul blog, al fine di colmare il buco improvvisamente creatosi all’altezza del mio sterno, ho ripreso in mano l’enorme album di foto a loro dedicato e mi sono incamminata sul viale dei ricordi.
Ho rivissuto l’emozione della prima eco, riconosciuto tutti i cuccioli negli scatti in bianco e nero sotto la lampada a infrarossi, riso come una matta davanti alle loro faccine felicemente deformi e ripensato con dolore ai pomeriggi dentro il recinto che giorno dopo giorno si trasformava nella vasca dei piranha.

Sfogliato con gli occhi di chi non l’ha vissuta sulla pelle, la cronistoria su carta opaca dei due mesi di cucciolandia trasuda soltanto una tenera scioglievolezza.
Per me e Andrea, oltre a rappresentare insieme un traguardo e un nuovo principio dopo quasi 20 anni di vita braccofila, è soprattutto la testimonianza di un duro e costante lavoro svoltosi per lo più a fotocamera spenta, iniziato con l’arrivo di Olena, proseguito catalogando i discendenti di certe linee di sangue, verificando sul terreno le doti dei bracchi d’interesse, esaminando a 360° le generazioni antecedenti/parallele ai futuri genitori e terminato coi due mesi di vita interamente votati alle Idrovore.
Nell’incertezza di quello che ne sarebbe uscito, niente è stato lasciato al caso.
Nell’incertezza di quello che sarà, potremo sempre dire di aver dato il massimo.

Questo perchè crediamo fermamente che quella di vestire i panni del piccolo Frankenstein e mettersi a pasticciare con la vita, sia una decisione da non prendere mai alla leggera.
Invece, nel corso di quei due mesi trascorsi nell’occhio del ciclone e in generale negli ultimi anni, sono state davvero tante le persone che mi hanno contattato per chiedermi dove potessero trovare uno stallone o una femmina prossima al calore, possibilmente residente nel raggio di 15 km da casa loro, per emulare la nostra avventura e mettere al mondo tanti bei cuccioli di bracco italiano: in fondo se lo fanno gli altri, perchè non posso farlo anch’io?

Premesso che io ho già quattro uteri a cui tener dietro, sicchè per me fate un po’ come vi pare e che Subito.it ve la mandi buona, ben venga l’idea del privato entusiasta di mettere in riproduzione il proprio soggetto, purchè la voglia di far le cose per bene non venga mai surclassata da egotismi di sorta.
La prospettiva di un guadagno facile, il presunto amore per la razza e la voglia di vivere la bella esperienza, da una parte sono motivazioni comprensibili e assolutamente condivisibili ma, se fini a se stesse, secondo me pericolosamente insufficienti.

A parte che se lo fate per arricchirvi in bocca al lupissimo, a parte che amare la razza potrebbe anche voler dire affidarne la conservazione agli addetti ai lavori, potrà sembrare strano, ma per allevare non bastano un utero, un organo genitale complementare e una casa con giardino.
Senz’altro avere dello spazio a disposizione e due soggetti (magari!) derivanti da una precedente selezione può essere un punto di partenza, ma se ci si limita a questo, senza esaminare attentamente psiche, morfologia, stato di salute, attitudine venatoria, difetti genetici e origine dei soggetti che ci accingiamo a utilizzare, più che ad un allevatore, rischiamo di somigliare ad un cagnaro senza scrupoli.

La prerogativa dell’allevamento dovrebbe essere quella di selezionare soggetti di livello sempre superiore, sani, aderenti allo Standard e, nella fattispecie, interessati al selvatico – il Bracco Italiano è un cane da caccia e anche in questo senso dovrebbe essere selezionato – le cui caratteristiche desiderabili non si limitino a comparire in loro, ma che in loro risiedano, pronte a ripresentarsi, potenziate, attraverso il giusto accoppiamento.

Ciò non significa che la cucciolata dovrebbe essere appannaggio esclusivo dei massimi conoscitori della razza.

Va detto infatti, che l’assemblaggio genetico del soggetto ideale, più che un algoritmo, ricorda un giro di roulette al banco del caos e della fortuna, alla quale il selezionatore consapevole può solo limitarsi a scommettere, sperando che centinaia di geni programmati per assortirsi in maniera indipendente, si combinino realizzando un puzzle il più possibile somigliante alla foto sulla scatola.
A rendere tutto più interessante, il fatto che moltissimi caratteri non sempre si manifestano nell’aspetto esteriore del cane (fenotipo), bensì rimangono celati nel patrimonio genetico (genotipo) tramandandosi silenziosamente nelle generazioni fino a ripresentarsi, spesso con uno spettacolarissimo effetto sorpresa, sulla base di meccanismi genetici ben più complessi di quanto una tabellina di Mendel riesca a sbolognare.

In questo senso nessuno, neanche gli allevatori più navigati (se onesti) potranno mai garantire sulla carta la buona riuscita di un matrimonio, ma questo non deve giustificare un approccio superficiale alla faccenda.
Semmai è proprio a questo punto che l’esperienza e il know-how fanno tutta la differenza del mondo.

Confidare ciecamente in una provvidenziale botta di culo è legittimo e raccomandabile, ma i danni veri si evitano (o almeno si limitano) soltanto attraverso un’ adeguata preparazione all’impresa che stiamo per intraprendere, la quale non può prescindere da una necessaria e oggettiva autoanalisi, che si basa innanzitutto sull’accettazione del fatto che fare accoppiare il proprio cane non è obbligatorio.
Non sta scritto da nessuna parte che siccome il tuo cane è figlio di, l’hai comprato da uno con l’affisso pagandolo peValtVo un sacco di soldi o l’hai trasformato in una star dei social, allora bisogna a tutti i costi regalare al mondo la sua discendenza. Soprattutto se lo fai per sfizio, adducendo come scusa la prevenzione dei fantomatici problemi psicofisici causati dall’astinenza, elencati con saccenza da tutti i cuggggini del mondo o peggio, per soggettivissime ragioni affettive.

Personalmente credo che se decidiamo di fare una cosa le cui conseguenze ricadranno sulle vite degli altri, siamo moralmente obbligati a farla al meglio delle nostre capacità, che in quanto Homo Sapiens siamo in grado di ampliare acquisendo competenze, mettendo seriamente in discussione le nostre intenzioni, senza mai perdere di vista quello che sarà l’avvenire dei cuccioli che per nostro volere vengono al mondo e del cui benessere saremo totalmente responsabili.

Non è cattiveria – semmai etica, che insieme al senso di responsabilità e al rispetto deve guidarci nella scelta tra quello che ci piacerebbe fare e quello che è giusto.

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