Il 13 aprile sono nati i cuccioli di Olena e Grappo Gino e dopo averli tenuti solo per noi nei loro primi 4 giorni di vita, pensiamo sia arrivato il momento di presentarveli.
Il giorno del parto è arrivato alla luce di un’unica, granitica certezza cioè che quello non sarebbe stato il giorno del parto.
Olena nei giorni precedenti non aveva mostrato nessuno dei sintomi che ci erano stati indicati: non solo aveva mangiato 24 ore prima, ma con la stessa fame di sempre, si era avventata sul cibo 20 minuti prima della rottura delle acque.
Inoltre non erano ancora trascorsi i famosi 63 giorni dall’ovulazione, che secondo i 3 (tre) costosissimi progesteroni, dovevano scadere la domenica di Pasqua – da qui l’infelice serie di battute “allora devi chiamarli Pasquale, Pasqualina…” – ohohoh.
La pancia non era “scesa”, e la sera prima aveva giocato per ore coi cani di un amico, correndo su e giù per il giardino come una matta, altro che affanno, altro che spossatezza.

In verità vi dico che io ero stata l’unica a ventilare l’ipotesi di un parto imminente, perchè sarà anche vero che io di bracchi e allevamento so ancora pochissimo, però con la stessa sicurezza di quando ci confermarono la gravidanza, ero più che convinta che il giorno dopo sarebbe stato quello giusto.
Solo speravo accadesse la sera, che statisticamente è il momento più probabile, anche perchè erano 6 mesi che Andrea lavorava ai fianchi del suo capo perchè gli assegnasse tutti i turni del mattino, proprio per essere sicuro di assistere al parto.
Guarda Giulia dormi tranquilla, STAI SERENA, che questa fino a sabato sera non partorisce.

E invece Giovedi mattina alle 7 apro la porta della sala parto e me la trovo davanti, in piedi con la coda ricurva e le gambe divaricate.
Ovviamente niente di tutto quello che doveva essere pronto era effettivamente pronto, per cui la salto a piè pari e inizio a ravanare nelle 6 valigie di materiale di emergenza, alla ricerca di guanti di lattice e asciugamani. Pochi attimi dopo, con la coda dell’occhio vedo Olena che entra nella cassa parto e penso che magari ho ancora tempo, il che è un bene perchè sarò completamente sola per le prossime 6 ore, non ho il numero di emergenza del veterinario e le uniche persone che potrebbero venire ad aiutarmi in questo momento, abitano a Pisa.

Mentre rompo tutto quello che tocco, cerco di ricordarmi come mi chiamo e perchè mi trovo lì, sento la voce di mio suocero sulla porta occhio quando ti alzi che dietro di te c’è qualcosa.
Mi giro…e Olena me ne aveva mollato uno sul pavimento, ancora avvolto nella placenta, ricoperto di sangue che sembrava Voldemort.
A quel punto il mio cervello è andato in stand by, in bilico come nei film per 1 secondo infinito, tra quello che avrei dovuto fare: lavarmi le mani o mettermi i guanti, cercare un asciugamano sterile… e quello che dovevo fare: aprire il sacco amniotico e toglierlo da lì.
Non so cosa mi abbia riavviato, ma mi sono fiondata su di lui e con le mani come le avevo, ho lacerato la placenta a livello della bocca, l’ho tirato su velocemente per il sedere e gli ho aperto la bocca con un dito, poi l’ho asciugato energicamente col pigiama che avevo addosso, pregando che non fosse troppo tardi.
Sentirlo iniziare a piangere e muoversi nella maglietta, ha cancellato tutta l’ansia e la paura, dandomi la forza di affrontare quello che stava per succedere, insieme alla certezza che magari sarebbe venuto fuori un gran casino, ma alla fine sarebbe andato tutto bene.

Pochi secondi dopo averle messo il piccolino accanto, Olena ha iniziato a sberleccarlo di santa ragione, finchè sono ricominciate le contrazioni e prima che me ne rendessi conto, ne era venuto fuori un altro, una femmina roana.
Olena ha fatto tutto da sola: ha rotto la placenta, reciso il cordone ombelicale e se l’è portata in mezzo alle zampe anteriori per pulirla, mentre io avevo finalmente rintracciato gli asciugamani e cercavo di tenere asciutta la base della cassa parto, fallendo.
Da quel momento in poi, ogni 15 minuti ne compariva uno e Olena ripeteva il rituale con la stessa cura per ognuno di loro.
Nonostante lo spazio ristretto e il dolore del travaglio, non ha mai rischiato di schiacciarli, anzi si muoveva con una grazia non da lei, preoccupandosi di tenerseli sempre vicini.


Neanche tre ore dopo, il parto era terminato e oltre a me e Olena, in quella stanza battevano altri 10 cuoricini.
Ne è arrivato uno in più di quelli che erano risultati dalla prima eco di controllo, forse è per questo che per le prime 24 ore, siamo stati tutti convinti che fossero in 9.
Superata la grande emozione, ma soprattutto ricontando i roani che sono pressochè identici, ci siamo accorti dell’errore.

10 piccole idrovore dunque, tutti famelici, tutti estremamente vitali e bellissimi, Dio li benedica.
Ci sono 7 femmine e 3 maschi, 7 roani e 3 bianco aranci.
Nel dettaglio:
1 maschio bianco arancio e 2 roani
2 femmine bianco arancio e 5 roane.

Alcuni hanno gli speroni altri no, lo sborone di turno ce l’ha doppio.
Una è identica a Rosco, una a Ulisse, una al papà Grappo Gino.
Una è già cattivissima, un altro è enorme, uno nonostante sia tra i più grossi, quando si rende conto di non essere in prima fila per la poppata urla come se gli avessero negato un rigore.
Abbiamo già riconosciuto una buona dose di personaggioni e col tempo vi racconteremo di ognuno di loro!

Concludo ringraziando tutti coloro che ci sono stati vicini in questi mesi e negli ultimi giorni piastrellati di felicità ma anche di tanta tensione.
Specialmente Laura Franzoni, Allevatrice di fama mondiale di Cocker Spaniel e Leonberger, che senza conoscermi mi ha presa per mano e guidata in questa avventura, senza i suoi consigli sarei stata perduta.
E poi grazie a Olena che non finisce mai di stupirci, che è una mamma meravigliosa, una creatura straordinaria e la parte migliore di me.

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