A grande richiesta ma forse anche no, eccovi la seconda puntatona  sullo Standard del Bracco Italiano (nel caso vi siate persi la prima, potete leggerla qui).
Prima di iniziare però, mi urge di puntualizzare roba.

Non è che io faccia sta sagRa dello Standard perchè a differenza vostra, so’bbbrava so’kkkose vedogggente, ed il resto del mondo deve tenerlo ben presente.
Guardate, no, semmai il contrario.
Se passo le mie serate a disegnare freccine e cerchietti di colori fluo combinati ad minchiam, è perchè in effetti sono un’ignorante impunita, che però ha tanta voglia di imparare. Non che io mi aspetti che ci crediate, anche ai colloqui non funziona mai.

Anzi, già che siamo qui facciamo un passo indietro, volete?
Certo che volete.
Debutterò con una premessa grandiosa: debbo confessare che non è che occuparmi di bracchi italiani fosse proprio il sogno della mia vita.
Infatti il mio bracco italiano ideale, quello che mi immagino di rincorrere nei sogni su un pratino all’inglese mentre assumo le sembianze di Gisele Bundchen, è uguale sputato ad un bovaro del bernese, per cui capite che a parte il minimo comun denominatore B.A.V.A. non è che si cominciasse benissimo.
Quando poi è arrivato Andrea che di bracchi ne aveva 2, la conversione è stato un processo praticamente immediato ed irreversibile: con Rosco fu reciproco amore a prima vista mentre con mister “’zzo c’hai da guardà stupida umana?!” aka Ulisse abbiamo dovuto lavorarci, ma adesso siamo grandi amici.
Malgrado siano produttori primari a ciclo continuo di sbavezza nonchè portatori sani di armi batteriologiche intestinali, adesso non riuscirei ad immaginarmi con nessun altro cane a fianco.

Ed è sempre stato tutto molto bello se non fosse che nonostante l’ammmòre, io della razza continuassi a non capirne niente (non che ora…).
Le mie nozioni di base sul bracco contemplavano quanto segue: un basset hound col tacco 12.
Che se uno ci pensa non è molto.
Fatta eccezione per Rosco e Ulisse infatti, gli unici soggetti che avevo avuto occasione di vedere qua e là erano i cosiddetti bracchi “pesanti” che il mio gusto personale si ostinava ad inserire nella categoria bovini ed altri animali da pascolo. Qualcuno li venerava auspicandone il ritorno, qualcun altro li malediceva, io a quel tempo avevo una vita e non me ne fregava niente (anche adesso non c’è male), semplicemente pensavo che se avessi conservato la mia capacità di intendere e di volere, non ne avrei mai voluto uno per me.

Vi lascio immaginare quindi il plurimo, stroboscopico, scartavetramento di maroni durante le conversazioni con tutti gli amici braccofili di Andrea. C’erano quelli infoiati col trotto, i crociati on a mission contro il terribile demone “braga”, i mitologici mezzi uomini-mezzi alberi genealogici per i quali è sempre stato palese che “la bisnipote di X sarebbe ottimamente deflorabile dal trisnonno di Y ma mai assolutamente dal prozio di W” (boh!) e poi va bè, i cacciatori ma sopratutto le esposizioni.
Dio mio, le esposizioni.
Vissute da spettatore sono anche belle, da partecipante c’è da spararsi un’endovena di Maalox prima di uscire di casa.
Non amando particolarmente il bracco-tipo, non amando molte delle persone col bracco-tipo al guinzaglio e non avendo alcuna idea di cosa prevedessero i canoni di bellezza del bracco italiano, il mio debutto in società fu piuttosto traumatico e disastroso.
Oh ragazzi oh, cioè ma quel cane è troppo bello, vince lui!
E puntualmente, ogni esemplare su cui ero pronta a scommettere la casa (che non ho) si rivelava l’equivalente canino de ‘r Monnezza.

– Ma non vedi com’è insellato?
– Eeeeh ma tu guarda che lavoro di ectropio, c’ha pure il cranio a tetto!
– Quello sarebbe un bel cane peccato per l’occhio a civetta.
– E’ sfuggente di labbro
– Avrebbe degli appiombi eccellenti, se fosse un bulldog
– Uuuh se muove male.
– No senti, quello è pure vaccino!

Avrei voluto difendermi, ma non avevo idea di che cosa stessero parlando.
Subito mi fu chiaro che per sconfiggere il nemico avrei dovuto conoscerlo, così man mano mi sono procurata i libri storici e le monografie – ve l’ho detto che sono un’insopportabile perfettina – ma sfido chiunque a non addormentarcisi sopra oltre pagina 3.
E’ stato a quel punto che da buona italiana media quale sono, ho trovato la via più rapida ed indolore: diventare la spina nel fianco dei tre guru del bracco italiano di cui dispongo a tempo pieno ossia il Vaccari, Antonio Ficarelli ed Antonio Casamassima.
Per mezzo di loro tutte le cose sono state create e anche questa mia saga prima di essere pubblicata passa sempre dal loro giudizio, quindi potete stare manzi che non vi sto a raccontà pannocchie.
L’idea dello Standard Illustrato, viene di base dalla necessità di decriptare frasi come quelle di cui sopra. Infatti se date un’occhiata al regolamento integrale e non siete addetti ai lavori, già a metà del secondo paragrafo avrete voglia di piangere.
Il mio cammino attraverso l’universo scibile del bracco italiano è ancora lungherrimo ma confesso che mettere in piedi settimanalmente articoli come questo, a parte la sfacchinata del povero Ulisse ad essere preso e piazzato in pose improbabili, mi riempe di soddisfazione oltre ad insegnarmi ogni volta qualcosa di concreto.
Se per voi è lo stesso -e la cosa mi farebbe un immenso piacere- bando alle ciance e scopriamo insieme in che cosa consiste la seconda parte de

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