di Andrea Vaccari

Nell’immaginario collettivo, la Lapponia è una zona remota e selvaggia della Scandinavia, dove Babbo Natale passa le giornate a rotolarsi nella neve in attesa delle nostre letterine.
Per noi cacciatori, invece, è il Paradiso.
Dopo decenni passati a sognarla quest’anno è finalmente diventata realtà e oggi sono qui per raccontarvi la mia settimana di caccia ai confini del mondo.

caccia-col-cane-in-lapponia

Cominciamo col dire che organizzare il tutto non è stato semplice: mettere in fila famiglia lavoro cani imprevisti – per di più con largo anticipo – è solo il primo passo, quello successivo è scegliere tra le tantissime alternative, un’agenzia venatoria seria (non scontato) e infine trovare un compagno di merende affidabile (ancor meno scontato…spoiler!) col quale condividere giornate indimenticabili ma davvero impegnative.
Dopo mesi di ricerche, mail e telefonate la scelta è ricaduta sul Club Scandinavia, un famoso tour operator curato da Silvio Intiso, Domenico Vacca e Alexander Delebois, col quale mi sono relazionato sin dal primo momento e che mi ha trasmesso il suo grande entusiasmo e la voglia di far vivere al cliente un’esperienza unica, guidandomi con pazienza ed infinita disponibilità nel dedalo operativo-burocratico che certe imprese comportano.

I documenti da presentare infatti sono parecchi e pieni di insidie:
Per me → Carta d’identità o passaporto + porto d’armi in corso di validità + Carta Europea per l’esportazione delle armi + Green Pass
Per i cani → Libretti vaccinali completati in ogni parte in maniera insindacabile + libretti/ passaporti con antirabbica aggiornata + vaccinazione eptavalente + certificato di buona salute + sverminazione nei 5 giorni precedenti all’ingresso in Svezia + (e vuoi che non ci prendiamo dietro l’iscrizione all’anagrafe canina e il certificato per la caudotomia? Taaaac).
A questo si aggiunga controllare e adeguare la macchina, procurarsi vestiario e attrezzatura, prenotare i traghetti e definire i dettagli con quello che avrebbe dovuto essere il mio partner in crime in terra lappone… e che invece, a meno di due mesi dalla partenza, mi ha tirato il pacco del secolo rendendosi irreperibile.

Lasciar perdere tutto però non è mai stata un’opzione.
Nonostante le mille difficoltà i preparativi per la partenza in solitaria sono andati avanti e grazie all’aiuto di tanti Amici, il 20 settembre scorso, in compagnia di Porzia e Olena, sono riuscito a fare rotta verso il sogno di una vita: il 56° parallelo.

Il viaggio

Alla fine la sorte ed il mitico Alex hanno fatto sì che io non fossi proprio da solo a percorrere 7000 km da un capo all’altro dell’Europa: quel giorno, con la medesima destinazione un’altra coppia di cacciatori avrebbe percorso la mia stessa strada, per cui tanto valeva accodarsi.
Così un problema quasi invalidante si è trasformato nella preziosa opportunità di affrontare la mia prima trasferta venatoria col ritmo e la malizia di due veterani del settore, romagnoli veraci, pratici e schietti, che con la loro esperienza, hanno alleggerito la stanchezza del viaggio e tutte le mie preoccupazioni.

Lasciata l’Italia alle spalle, tagliamo a metà l’Austria e la lunghisssssima Germania per fare meta al porto di Rostock, che raggiungiamo in tempo per imbarcarci sul traghetto che nottetempo ci condurrà a Trelleborg.
Da qui riprendiamo il viaggio verso Nord, distratti dal fantastico panorama scandinavo che ci accoglie con un cielo terso, solcato da stormi di oche, anatre e gru, per poi toglierci il fiato con un alce maestoso e severo scorto a pascolare a pochi metri dall’autostrada.

Passata Stoccolma le strade si ristringono e gli autovelox spuntano come funghi.
Ci vorranno ancora mille kilometri ma alla fine raggiungiamo l’ambita meta: Jokkmokk o più precisamente Kvikkjokk, cioè dove finisce la strada.

Nuvole basse preannunciano una breve perturbazione che porterà freddo, neve o pioggia a catinelle, ma non ce ne potrebbe importare di meno: siamo arrivati, siamo a un passo dal sogno e a bordo strada abbiamo già visto tantissimi galli cedroni.

La caccia

Dal nostro campo base potevamo scegliere se cacciare in foresta oppure salire in alta quota con l’elicottero.
Dopo essermi consultato con le bracche, ho deciso di rompere il ghiaccio con un bel giro nel bosco alla ricerca dei suoi abitanti più ambiti: gallo cedrone, gallo forcello, francolino di monte e lepre variabile, con la speranza di imbatterci anche in qualche pernice attraversando le vaste radure.

In foresta, la spanna di muschio che ricopre tutto permette di camminare abbastanza agilmente – specie quando sei abituato al duro terreno appenninico, dove con la prima umidità, kili di argilla si attaccano agli scarponi rendendo ogni passo instabile e pesante.
Qui il pericolo principale è rappresentato dai buchi, larghi fori tra le rocce e nel terreno, di solito ricoperti dal muschio in cui però si rischia di cadere e ritrovarsi immersi nell’acqua gelida fino al naso.
Altro problema possono essere le paludi e gli acquitrini, che spesso vanno guadati come in una partita a scacchi, indovinando la mattonella che reggerà il tuo peso abbastanza a lungo da permetterti di saltare prima di sprofondare.
Ma ovunque rivolgi lo sguardo, la bellezza di questi luoghi è da cardiopalma.

Se con l’autunno alle porte la foresta sembra dipinta, l’alta montagna somiglia al Paradiso nel quale ogni cacciatore spera di risvegliarsi dopo l’ultimo respiro.

Anche qui si gira molto bene.
L’ambiente è quello tipico delle alte quote, con distese rocciose a perdita d’occhio intervallate da piccoli corsi d’acqua che scendono dai ghiacciai, laghetti, polle d’acqua e pochi temerari ciuffi d’erba resistenti al vento gelido.
Nella fascia montana che inizia dove finiscono gli alberi, principalmente troviamo pernici alpine e artiche, e a dare quel tocco di folklore in più sono alci e renne che si aggirano incuranti di tutto e tutti.
Nonostante le condizioni climatiche avverse, i colori della natura qui sono ancora più intensi: dal rosso delle piante di mirtillo al giallo dell’erba, fino al blu intenso del cielo che si riflette negli specchi d’acqua e contrasta col bianco candido della neve dei crinali, sui quali una bracchetta che procede al trotto d’un tratto avverte, fila e ferma un branco di pernici che esplode in un volo fragoroso ed impossibile da dimenticare.

Al di là dell’ambiente mozzafiato, i veri protagonisti di questa spedizione sono stati i selvatici.
Insidiare il cedrone oppure il forcello, ma anche le famose pernici a volte è stata una vera battaglia.
Ci siamo imbattuti in animali scaltri, che s’involavano sempre al limite del tiro e subito pensavano a coprirsi la traiettoria di ritirata con elementi naturali, decisamente intenzionati a vendere cara la pelle.
La consapevolezza di avere a che fare con animali smaliziati ovviamente ha reso tutto più interessante, poiché vincere la battaglia con prede simili significa cancellare ogni margine d’errore e lavorare con tutti i crismi, mentre l’adrenalina sale a mille ed ogni incontro si trasforma in un vortice di emozioni.

Gli incontri non sono garantiti, bisogna guadagnarseli.
Il cane deve avere iniziativa, il coraggio di girare, esplorare l’ignoto, affrontare e risolvere problemi di emanazioni diverse dal solito e sempre nel massimo silenzio e affiatamento col conduttore.
Anche per questo l’agenzia venatoria, oltre a procurarci tutti i permessi di caccia e assegnarci le zone, mette a disposizione accompagnatori esperti che ci accompagnino per l’intera giornata da soli o con i propri ausilari!
Personalmente ci tenevo a vivermela in solitaria, per cui ho preferito affrontare la foresta contando esclusivamente sulle mie fedeli compagne di vita.

Dopotutto quest’avventura è stato il regalo per i miei primi vent’anni di caccia.
Volevo mettere alla prova le competenze venatorie mie e dei miei bracchi, per scoprire come ce la saremmo cavata in un contesto così diverso, nei confronti di una selvaggina sconosciuta, perseguitata in condizioni climatiche per noi eccezionali.
E non sono rimasto deluso neanche un po’.
Al contrario, Porzia e Olena mi hanno dimostrato che anche in ambienti come quello lappone, un Bracco Italiano degno di tale nome fa la differenza.
La cerca intelligente, l’innato collegamento che gli evita aperture estreme e il battere il terreno in modo proficuo sempre al servizio del cacciatore, sono alcune delle caratteristiche d’eccellenza della nostra razza che ancora una volta le permettono di distinguersi dagli omologhi, elevandosi per efficacia e concretezza.

Si dice che chi torna da un viaggio non è la stessa persona che è partita.
Questo vale per me ma, sono convinto, anche per le mie bracche, che oggi hanno negli occhi una luce diversa, data dalla consapevolezza di essersi spinte oltre i propri limiti superando confini, difficoltà e pregiudizi per realizzare il mio sogno della Lapponia, che è già diventato quello di tornarci presto!

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