Che viviate sotto un sasso o abbiate di meglio da fare che seguire il profilo facebook di Bracchi Reggiani, probabilmente non sapete che quelli dell’ENCI, approfittando di un attimo che mi ero distratta, hanno rimesso mano alle linee guida per la morfologia del bracco italiano.
Hanno ritoccato lo Standard, insomma.
Testimoni oculari sostengono che, quando la triste evidenza mi è stata comunicata, la mia faccia si sia contratta in una smorfia a metà tra il terrore e lo sconforto, non molto diversa da quella di sempre, in effetti. Ma dentro, ve lo giuro, ero devastata.
La mia creatura, il PhotoStandard tutto da rifare. E quelle foto da rieditare, gli episodi in italiano da rivedere, gli episodi in inglese da scorrere sillaba-per-sillaba-maremmasganasciata.

Mi decido a scaricare il file dal sito dell’ENCI ma prima, per sicurezza, mi prendo un ansiolitico.
Il download dura 3 secondi, giusto il tempo di vedermi sfrecciare davanti tutti i fotogrammi della mia vita intrecciata a quella di Ulisse, entrambi ovviamente tempestati di freccette e cuoricini.
Sono preparatissima al peggio, slego gli occhi a zig zag tra le righe e con sollievo mi rendo conto che per fortuna non c’è molto da rifare. Pur tuttavia alcuni dettagli mi saltano al naso, indi per cui non tergiverso e mi metto all’opera.
Stampo lo Standard in Italiano e lo Standard in inglese, tiro fuori dal mio archivio braccofilo quegli obbrobri che mi ostino a chiamare disegni, ribalto la casa alla ricerca dei cd con le foto già pronte, nel panico di dover rifare tutto da capo, mentre Ulisse percependo la tensione, si defila ogni qual volta il mio corpo entri in rotta di collisione con lo scaffale della reflex.
Dopodichè inizio a sostituire avverbi, frasi, paragrafi.

Però mentre lo faccio, penso che sto cancellando una traccia del passato che forse non tornerà più. Non importa quanto piccole o insignificanti siano le modifiche apportate a questo giro, d’altronde Roma non fu costruita in un giorno.
Mentre sovrascrivo, sto rimpiazzando quella che è stata la mia idea di riferimento del bracco da quando ho deciso di intraprendere questo viaggio ad oggi, un archetipo che se volessi ritrovare un domani – siano 2 mesi, 10 anni o nello spazio di altri 2 standard – non sarebbe lì ad aspettarmi, perchè – ho scoperto – non esiste alcun archivio digitale per gli standard sorpassati, almeno nella nostra razza.
Cioè dico, scherziamo?

Com’era fatto il bracco italiano nell’immediato dopoguerra?
Si sente spesso di un antico standard che distingueva il bracco leggero dal bracco pesante, ma uno che non c’era, dove può reperire tali documenti?
Com’è cambiato lo standard morfologico dagli anni 20 ad oggi?

Ma la vera domanda è: come si può concepire nel presente di allevare una razza pensando al futuro, curandone ogni aspetto, senza avere un’idea di cosa ci fosse nel suo passato?
Perchè il bracco italiano ha una storia importante e travagliata alle spalle, è una razza tanto antica quanto contemporanea, anacronistica quanto obbligata a stare al passo dei tempi che cambiano, dell’abbattimento delle frontiere e del pensiero comune che inevitabilmente progredisce, anche a rischio di stravolgerlo.
E credetemi, basta guardarsi un attimo intorno, sfogliare lo standard originale e confrontarlo con quello più recente per trovare argomentazioni a sostegno della mia tesi.

Su due piedi penso agli speroni, un tempo esplicitamente richiesti dal regolamento, oggi apprezzati solo dagli affezionatissimi.
A me è sempre stato insegnato che gli speroni rappresentano uno di quei caratteri la cui assenza non può penalizzare il soggetto, ma che se presenti vengono grandemente apprezzati poichè conferiscono tipicità.
Oggi invece c’è chi li taglia per praticità, quando il cucciolo ha 3 giorni di vita, insieme alla coda, come se fosse una cosa più che scontata.

Peggio di loro c’è solo quel tipo che ha ereditato per sfiga (della cagna) una figlia di Ulisse, l’ha messa in riproduzione col maschio di casa e ogni tanto mi scrive tutto incazzato che i cuccioli nascono speronati e lui, che lo ritiene un difetto, deve sbattersi a tagliarli.
Insomma chi è l’idiota a cui è venuto in mente di selezionare cani con degli uncini alle zampe posteriori?!? – penserà il Genio.
Ma come si fa. Ma come si può.
Questo è l’allevamento di chi non conosce.
Poi ovviamente penso alla coda, un tempo tagliata per il benessere del cane, ed oggi sempre più prossima ad essere mantenuta allo stato naturale, per lo stesso identico motivo.

Quello che voglio dire è che temo che le origini e l’evoluzione del bracco italiano restino appannaggio dei soli uomini che c’erano, che hanno fatto la sua storia ma che non hanno potuto-voluto-saputo lasciare delle loro imprese una traccia scritta, che sia oggi alla portata di tutti.
Io ho la fortuna di abitare a non più di 2 km dall’allevamento di Montericco – che frequento anche troppo assiduamente – e dove tra una battuta e un sorso del suo nocino fatto in casa, Ficarelli ricorda, dipingendomelo davanti agli occhi, il bracco del passato, snocciolando aneddoti, tirando fuori fotografie ingiallite dal tempo.
Mi da lezioni di storia.
E a mio avviso, per chiunque voglia fare ciò che mi accingo a fare io, questa è una cosa impagabile.
Persone come lui, i saggi della braccofilia, rappresentano un gancio importante per i giovani ignoranti come me che si avventurano con curiosità e voglia di far bene nel mondo della cinofilia.

Ma quando i guru se ne andranno, cosa rimarrà del bracco italiano che questi Signori hanno amato tanto da riportarlo alla vita per custodirlo e valorizzarlo?

Sai cosa, proprio non mi va di cancellare il vecchio Standard, a parte che ormai ci sono affezionata, ma non mi piace l’idea di dimenticarlo, anche se si tratta di sfumature.
Quindi ho smesso di digitare parole sopra le altre e ho scartabellato tra i vecchi libri di caccia regalatimi da amici dell’ambiente, persone che certi libri avrebbero potuto scriverli loro.
Finchè non ho trovato un vecchio standard – che poi ho scoperto essere il primo, redatto nel 1923 e reso ufficiale nel 1949 – riportato in un testo degli  anni ’70, La caccia con il cane da ferma di Antonio Santarelli.


Di differenze non ce ne sono poi così tante, ma qualcosa c’è e seppur minuscolo, vale la pena di essere segnalato perchè, di fatto, è storia.

Il mondo di oggi, è inutile negarlo, si muove a velocità di ADSL, e ciò che di importante nei secoli è scritto su carta, per essere diffuso e tramandato ad ampio spettro, dev’essere digitalizzato.
Da qui il mio piano diabolico: il PhotoStandard continuerà a rappresentare il present continuous dello Standard, ossia riporterà di pari passo con gli aggiornamenti ufficiali, il regolamento morfologico in vigore.
Questo post invece si traforma in un gigantesco link che rimanda al face-off tra i 3 Standard che ho rintracciato, quello del ’23, quello appena rivisitato e rimasto valido fino al 31.12.2015 e il regolamento entrato in vigore il 1.1.2016, per interesse di chiunque voglia scoprire i dettagli sbiaditi nel tempo, cosa è stato depennato e poi riproposto, e cosa invece si conserva immutato nel viaggio tra i secoli del bracco italiano.

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