E’ arrivato venerdì mattina e con una cattiveria inaudita si è piazzato sopra casa nostra seppellendoci sotto una trapunta candida e gettando metà della popolazione reggiana in un panico fatto di silenzio e black out.
12 ore senza energia, luce, riscaldamento, acqua, linee telefoniche e INTERNET.
Ci farà bene, almeno ci disintossichiamo un attimo da questa alienante esistenza tecnologica, chè non si può stare sempre al computer o attaccati al cellulare” continuavamo a ripeterci mentre pigiavamo compulsivamente qualsiasi cosa avesse le sembianze di un interruttore.
Per la mezza giornata d’isolamento ci siamo dovuti inventare una vita parallela, cavernicola ma che fosse spassosa e strafiga almeno quanto l’altra. E ci siamo riusciti, grazie – devo ammettere- all’altissima percentuale di cellule MA.STI.CAZZI. di cui sono composta e al mio amore spassionato per la neve.

Era tutta la vita che aspettavo di ritrovarmi nel bel mezzo di una nevicata così, coi fiocchi che si paracadutavano dal cielo manco fossero pagati, i centimetri che si accumulavano per strada, in giardino, sui balconi, sui tetti delle case di fronte.
Uno spettacolo bello quanto problematico, lo ben so.
E a quel punto l’atteggiamento è tutto.
O ti defenestri incazzato menandola su un papabilissimo trasferimento alle Maldive che lì c’è caldo tutto l’anno manco tu vivessi in Siberia, o ti godi lo spettacolo prendendo il meglio di ciò che un evento atmosferico unico, incontrollabile ed inevitabile come quello che ti trovi davanti ha da offrirti.
E io le Maldive ve le lascio tutte.

Così mentre il resto del mondo lanciava improperi contro i 20 cm già posati e gli insospettabili 30 che sarebbero scesi da li a sera, io mi fiondavo fuori sotto la tormenta a costruire il mio primo pupazzo di neve.
Mentre il quartiere dichiarava gueRa all’inaffidabile Enel, io a lume di candela pianificavo una vacanza.
Mentre il cittadino medio si chiudeva in casa ad aspettare lo spazzaneve o la fine del mondo, noi uscivamo con i bracchi.

Ero troppo curiosa di fotografare Olena alle prese con la neve, anche se per lei non era la primissima volta.
Ad inizio anno infatti, ci siamo portati sul Passo del Cerreto al solo e unico scopo di testare i celeberrimi cappottini, ma di neve ne avevamo trovata pochina. Stavolta invece Olena avrebbe dovuto far valere i suoi 59 cm di altezza sui 50 di neve accumulata.

Ulisse ero certissima si sarebbe dissociato dall’entusiasmo plebeo, rifiutando di prendere parte alle nostre scorrerie.
Infatti, nonostante possa vantare trascorsi da cane da slitta – di cui vi agevolo testimonianza fotografica…

…di fronte a sgradevoli superfici umide e mollicce ha ostentato anche in questo caso, quel suo fare tipico di bracco di un certo livello, continuando a guardarsi intorno come a cercare il suo jet privato che arrivasse a riportarlo a casa avvolto in una vestaglia di velluto.

Raggiunti i campi innevati dietro casa però, l’occasione era troppo ghiotta per non buttarla in caciara così entrambi hanno abbandonato ogni applombe per lanciarsi in folli corse ed inseguimenti.

Olena guidata dal sano entusiasmo dei cuccioli si è avventurata tra le vigne, seguito le orme delle lepri, fermato un fagiano due aironi e una capra. E’ persino caduta in un ruscello mentre esplorava impavida i cumuli di neve a bordo strada, non prima di sparire dietro l’angolo e ricomparire dopo 10 secondi perfettamente intonsa ma col cappottino a brandelli.
Adesso mi tocca ingrassarla davvero.
D’oh!

Le piace correre, zompettare qua e la per finire sempre coi dentini attorno alle orecchie di Uli.
La vedi distante che allunga scalmanata, sembra volersi spingere al limite per crescere più in fretta. E’ sempre sull’attenti, concentrata su tutto quello che la circonda, non perde un rumore non manca un uccellino che vola alto davanti a lei…fin quando a un certo punto alza il naso e segue scie invisibili che la portano lontano da noi.
Ma mai troppo.
Non ancora.

 

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