di Andrea Vaccari
Visto che all’inizio della settimana, la zampotta di Ulisse si presentava preoccupantemente gonfia, a malincuore ho dovuto lasciare a riposo il mio gran bracco rassegnato ad imitarlo, ma sotto l’insistenza dei miei compagni di caccia – amici fraterni – ho capitolato e li ho seguiti nell’uscita programmata.
Smessi quindi i panni del braccofilo, mi sono travestito da inglesista e l’alba di sabato scorso, ci coglieva pronti per la nuova giornata di caccia in Appennino.
Visto il periodo, abbiamo pensato di battere un boscaccio che si stende come un panno, su una austera montagna dell’Appennino, ottimo posto per le beccacce.
Il piano è semplice: i due miei amici, Nik e il Dottore, avrebbero battuto il bosco stando uno sul bordo e l’altro dentro, mentre io li avrei guidati negli oscuri sentieri del bosco che conosco come le mie tasche.
I cani in campo sono due ottimi setter, cani d’età matura, con una cerca intelligente e generosa, tutti e due fermatori ad oltranza. Il primo tratto di bosco che battiamo sembra disegnato da un’artista per ospitare degnamente la lungobeccuta. Scopeti di carpino, macchiette di rovi qua e la ,ed alberi ad alto fusto, intervallati da calanchi e campetti, ma dell’ambita preda non c’era nemmeno l’ombra.

Salendo il bosco si amplia, e al suo interno iniziano a vedersi numerose doline e canalacci, e qui devono essere i cani a mostrare la loro capacità, perchè è umanamente impossibile poterli battere tutti in maniera capillare. Tordi e merli partono chioccolando dei cespugli che sono presenti nel sottobosco, ma l’incontro con la regina sfugge.
Nella prima ora di caccia ci siamo alzati parecchio, stiamo per arrivare a quota 500m s.l.m. A questo punto per battere “buoni” diversi ci separiamo, così io e il Dottore andiamo in direzione di una bollata di carpini, mentre Nik scende un calanco, provando a battere una pineta.

Dopo un’altra ora nel buio di questo bosco, torniamo a vedere la luce del sole e decidiamo di salire ulteriormente di quota per cambiare le sorti del finora magro bottino. La setter Ala non si risparmia, e come una giovincella di primo pelo, continua a macinare il bosco nonostante i suoi 10 anni, controllando ogni angolo adatto a ospitare la lungobeccuta.

Nel salire dobbiamo attraversare un prato.
Qui vediamo la setter arrestare la propria azione e startufare per terra. Essendo la cosa piuttosto insolita per lei, mi avvicino e vedo diverse fatte di fagiano piuttosto fresche.
Sorpresi ma ben consci che spesso i fagiani più smaliziati si rintanano in questi angoli così lontani dagli habitat che gli piacciono per sfuggire ai rompiscatole come noi, continuiamo a ispezionare il territorio con maggior cura e attenzione anche se non ce ne sarebbe bisogno visto il lavoro meticoloso della cagna.
Saliamo ancora ma prima di tuffarci di nuovo dentro al bosco, ci dirigiamo verso una serie di siepi che dividono i campi in tanti piccoli appezzamenti ed è qua che Ala inizia a fermare e guidare.
Il cuore inizia a pompare forte mentre seguiamo l’attenta setter in questa battaglia, ma sembra che il selvatico si sia volatilizzato, perchè dopo 150 metri la cagna molla il siepone e riprende a battere il campo. Proprio mentre compie questo lavoro, in un rientro parallelo al siepone di testa, si ferma di scatto scaraventandosi a terra.

Trepidante, sono il primo ad arrivare seguito dal Dottore che si porta di sopra al macchione per tagliare ogni via di fuga. Non voglio avvicinarmi alla setter per non perdere la buona posizione, per cui batto i piedi per terra, ma non parte nulla.
Ala guida per un paio di metri e si ferma di nuovo. Si capisce che il selvatico è avanti una decina di metri rispetto al suo naso e cerca di guadagnare il fitto.
Lancio un sasso e ancora niente.
Il cuore ormai non batte più, quando finalmente una arrabbiatissima fagiana parte cercando di coprirsi subito con gli alberi, ma le nostre due fucilate simultanee la fermano subito, permettendoci di raccogliere questa bellissima preda.
Fatti i complimenti alla brava setter, riprendiamo la cerca, e ci rituffiamo nel bosco.
L’ambiente si trasforma con l’altitudine, ma il risultato non varia. Vediamo caprioli, merli e tordi, ma di beccacce nemmeno l’ombra.
Giunti fuori da questa specie di foresta che per oltre 3 ore e mezzo abbiamo perlustrato, ci troviamo di fronte a vari boschetti, quasi delle macchiette intervallati da campi coltivati. La cagna continua la sua incessante opera di ricerca e nell’osservarla, vediamo che in una cultura a perdere fatta per i cinghiali, un silenzioso fagiano se ne va in volo ben prima dell’arrivo della setter.
Capiamo subito che l’animale è avvezzo a dure battaglie, quindi prendiamo ogni cautela. Al posto di buttarci dietro di lui, decidiamo di fare un largo giro per tagliarli la ritirata.
Cosi facendo, è solo dopo un’oretta che troviamo la setter in ferma.

L’astuto pennuto aveva deciso di trincerarsi in uno stretto canalone dopo aver pedinato in un campo con fitte erbacce. Sappiamo di cosa sono capaci certi animali, quindi agiamo di conseguenza non lasciando nulla al caso.
Io mi butto dietro alla coda frangiata, che lentamente guida dentro un ripido bosco che sale. Il Dottore cerca di starci a una cinquantina di metri, nel miglior punto adatto a sparare.
E’ una partita a scacchi, e ogni mossa del fagio fa parte di una strategia per salvare la pelle mentre noi combattiamo per prendere quella pelle e farla arrosto con le patatine.
Ala a un tratto sembra perdere l’emanazione e per ritrovarla fa due leggere galoppate nel bosco.
Riaggancia e si schiaccia nuovamente a terra.
Do voce al Dottore per indicargli il nostro piazzamento.
Il beeper non fa in tempo a trillare che la setter deve guidare per non perdere il contatto con il fuggitivo, il quale non perde tempo e non concede di piazzarsi.
A fatica seguo il cane nel fittume silvano, impacciato dalle piante di spine che si aggrappano ai miei vestiti e dal costante pericolo di scivolare vista la ripidità del pendio, ma non perdo il contatto con la setter che sta facendo un gran lavoro.
In cima, sembra perdere ancora l’usta ma in pochi metri la recupera e continua la sua guidata dentro un altro canalone che pare una trincea tra il bosco e il campo di sopra. Li dentro è tutta una spinaia, in più non si contano i tronchi caduti.
Impossibile scendere e seguirla, quindi rimango sulla cima e tento di rimanere parallelo alla cagna.
Il Dottore è rimasto indietro, e non è ancora giunto dove dovrebbe essere.
La setter esce dal brutto e risale sempre guidando dentro al campo dove, a causa della strana stagione, è ricresciuto l’orzo dove era stato trebbiato. La vedo sparire li dentro e mi è impossibile seguirla ma dopo qualche secondo sento il beeper suonare a una quarantina di metri davanti a me.
Urlo al Dottore per dargli indicazioni dove è la cagna, ma non faccio in tempo a parlare che il gallo si stacca una ventina di metri ancora più avanti della setter, e si butta a bomba verso valle.
Io sono completamente impossibilitato a sparare, mentre il Dottore tenta una fucilata al limite su questa palla di cannone piumata, e dopo lo sparo, sento il suo incitamento al riporto della setter.
Con un tiro fortunato, azzardato o forse ben preparato, è riuscito a cogliere questo diavolo che tanto ci ha fatto sudare ed emozionare.

Sfiniti per le emozioni, riprendiamo a salire per arrivare al luogo in cui abbiamo appuntamento con Nico.
Lui ha battuto tutti i buoni che conosce ma non ha cavato un becca dal buco (non cercavamo ragni ma beccacce) e ora si unisce a noi per la discesa dall’altro versante.
I cani iniziano ad accusare la fatica, la loro cerca è meno generosa ma comunque attenta a ispezionare i punti in cui si potrebbe nascondere un selvatico.

Hanno ancora la forza di andarsi a mettere in ferma in un calanco dove probabilmente era passata una lepre che non riusciamo a spaventare come si deve.
Arriviamo alle auto che sono le 13, soddisfatti della fantastica giornata vissuta assieme, e ci diamo appuntamento al week end successivo sperando di riavere nelle nostre file, la preziosa figura di Ulisse.