di Andrea Vaccari

Venti kilometri al giorno, dieci all’andata, dieci al ritorno,venti kilometri al giorno.. cantava in una vecchia canzone di italo-blues quel grande artista di Nicola Arigliano raccontando le peripezie podistiche di un giovane che percorreva tutta quella strada per sentirsi rispondere “picche” dalla sua bella non più interessata a uscire con lui.

Venti chilometri al giorno, kilometro più kilometro meno, è all’incirca la strada che percorro anch’io ogni volta che esco a caccia, figuriamoci Ulisse. Arrivo sul posto e non torno all’auto se non dopo 5-6 ore, macinando calanchi, macchie, prati e quanto altro incontro sulla mia strada in un’orgasmo d’emozioni avventuriere condivise con pochi fraterni amici e i nostri compagni a quattro zampe.

Anche Sabato scorso siamo usciti a caccia, eravamo in 2 con la nostra grande coppia, Ulisse e Kinder.

Ciascuno batteva una fianco della montagna che cresceva davanti a noi, ma dopo poco a causa della fitta nebbia, decidiamo di cacciare tenendoci più vicini, a tiro d’orecchio: volevamo controllare i boschi e gli sporchi in cerca di qualche beccaccia, animale che in questa annata ci sta regalando ottime soddisfazioni.
Di questo selvatico non parlo sovente e non pubblico foto delle prede, perchè fin troppo abusato dai cacciatori. Ritengo che il mondo della caccia delle riviste, ma sopratutto dei commercianti, abbiano creato un vero Dio a cui votare i cacciatori, creandoci attorno un mondo di miti e leggende e convincendo i cacciatori che una beccaccia sia la risposta a tutte le domande. Intendiamoci è un selvatico bellissimo, ma così come lo sono il fagiano, la pernice, la lepre e tutti gli altri abitanti di bosco e di riviera, quando sono autentici e selvatici al 100%.
La grande differenza tra la beccaccia e gli altri animali stanziali (e tanti migratori), è che mentre i secondi richiedono un costante lavoro da parte dell’uomo e il rispetto di regole ferree per la loro proliferazione, la beccaccia rispecchia l’animus venandi degli italiani, abituati ad infischiarsene del domani pur di fare man bassa nel presente.
E così è fiorita una cultura in cui tutti sono beccacciai e la bravura di uno non è misurata dalla destrezza del proprio cane, ma solamente dal numero di beccacce morte fotografate sopra al cofano della propria auto, indipendentemente dal modo in cui queste sono state catturate.
I veri beccacciai prima di tutto sono cinofili, amano la caccia con il cane quale banco di prova per ammirare il proprio amico a quattro zampe giocare con questa abile abitante dei boschi.
Il vero gentiluomo che ama questo animale non si vanterà mai dei capi uccisi ma solo delle sublimi azioni dei propri cani con poche e fidate persone.

Dimenticavo, beccacciaio si diventa per scelta consapevole, non perchè non c’è altro da sterminare.
Ma questo credo sia un discorso valido per tutta la selvaggina, senza eccezioni, a 360°.
La scelta di cosa cacciare deve essere dettata dalla passione e dalla volontà di arrivare a conoscere ed estrapolare i segreti di una determinata specie per le emozioni che questa ci sa regalare, non perchè “oggi non ci sono tordi, allora sparo a tutto quel che si muove”.
Questo è il mio personalissimo pensiero sulla caccia alla beccaccia e detto questo, ci tengo a precisare che io caccio i frutti che ogni stagione mi sa presentare, considerando tutti i selvatici emozionanti e avvincenti.
Parto a settembre con i fagiani già smaliziati dagli incontri fatti con i cani nel periodo d’addestramento cani, proseguo cercando furbe pernici rosse e quei fagiani che sopravvissuti ai primi giorni, son diventati scaltri e furbi come volpi. Poi a metà ottobre, con le prime piogge e i venti freddi, inevitabilmente si inizia a guardare in qualche “buono”, facendo un allungo qua e uno là, andando a guardare “quell’angolino buono per l’entrata” delle beccacce in montagna e dei beccaccini in pianura.

Fino ad ora ho avuto la fortuna di possedere due bracchi che sapevano interpretare ogni selvatico, passando dal beccaccino alla pernice rossa, dalla lepre alla beccaccia risultando proficui e trasmettendomi grandissime emozioni su qualsiasi animale intendessi cacciare.
E anche lo scorso sabato in montagna, il campano di Ulisse a un tratto ha smesso di suonare.
Non era nel bosco, era uscito ed era sparito nella nebbia che regnava sui monti.
Mentre avvisavo il mio compagno del silenzio, anche il campano di Kinder, passato da pochi secondi davanti a me, improvvisamente taceva.
Ci avviamo piano piano guardinghi e quando avvistiamo il collare arancio del bracco, vediamo anche il setter dietro di lui in religioso consenso. Altri due metri e un volo di 4 pernici rosse parte a razzo 30 metri davanti ad Ulisse.

Non spariamo perchè la caccia alle pernici rosse si sarebbe chiusa il giorno dopo, ed era -secondo noi- “cosa buona e giusta” rispettarle.
Riprendiamo la cerca della regina e in una ripida parete boscata, il setter avverte qualcosa d’interessante.
Ulisse si porta più avanti e fermano entrambi intorno a degli spini in un spiazzo in mezzo al bosco.
Siamo pronti a misurarci con lei, ma la lungo beccuta si era già dileguata forse inorecchiata dai campani. La cosa mi pare un po’ strana, perchè entrambi i cani hanno dei nasi molto dolci e fermano a distanze buone senza allarmare gli animali…dubbiosi procediamo, ma siamo ancora più cauti gustandoci la battaglia che i due esperti cani sono chiamati a combattere.
Stranamente usciamo dal bosco a mani vuote ma il perchè ci si palesa davanti: a pochi metri da noi troviamo una squadra di lepraioli che aveva battuto lo stesso bosco con 6 segugi alzando molto probabilmente la becca.
Ci dividiamo per cercare la fuggitiva nei due canaloni che chiudevano i campi del montagna distanti uno dall’altro diversi kilometri. L’appuntamento dopo un paio d’ore era in cima al monte, ma il mio compagno manca all’appuntamento.
Sento il campano del setter ma alla voce non risponde, intanto la bruma che lo copre alla vista si fa sempre più densa.
La nebbia ha fatto perdere al mio amico l’orientamento così il poveretto sbagliando strada è entrato in una fitta forra che alla fine l’aveva risputato solo dopo avergli fatto sudare 7 camicie.

Conoscendo i posti a menadito decido di andargli incontro per dargli una mano. Nel mentre in lontananza sento il campano che bruscamente si interrompe e il silenzio viene infranto da un’ovattata fucilata. Accelero il passo fino a ritrovare il mio amico baciato dalla dea fortuna: Kinder dopo molte e difficoltose ricerche ha trovato la regina in un prato al pulito, forse bloccata dalla nebbia mentre stava pasturando nottetempo.
Soddisfatti per la magnifica preda continuiamo la battuta ma nelle ore seguenti nonostante il grande lavoro dei cani, mai domi e sempre alla ricerca di un selvatico, non troviamo altro che caprioli e tracce di cervi.

Con la nebbia che non accenna a diminuire e il buio che incombeva torniamo verso le auto, sempre stregati dalla passione e dalla meticolosità dei due cani, che nonostante le ore e la fatica non hanno mai rinunciato a respirare il vento.

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